Yannick Alléno, talento puro

Yannick Alléno è uno dei (pochi) francesi che piace agli italiani, ai colleghi italiani e non a caso è proprio l’Italia, ad essere stata scelta, come base del suo nuovo progetto. Se avete la fortuna di capitare nelle Langhe, sappiate che potrete correre il rischio di incontrarlo a Monforte d’Alba, tra le colline patrimonio Unesco, all’interno delle cucine del Resort Réva, del patron Miroslav Lekes, fresco di nuovi proclami: “ Nei primi mesi del 2021 inizieremo i lavori, che dovrebbero terminare alla fine del 2022, per fare del Resort un borgo di eccellenze, con all’interno un nuovo ristorante gastronomico, una nuova piscina esterna, un nuovo edificio su due piani per ospitare dieci nuove camere e suite, una nuova reception e la trasformazione dell’attuale ristorante in bistrot. Il tutto assieme ai presenti golf, spa e area benessere”.  

Giusto il tempo di accendere i fuochi e la guida Rossa nell’edizione 2020 gli ha assegnato la prima Stella Michelin “italiana”. L’obiettivo, velatamente sussurrato, è chiaro: conquistare i tre macarons nel paese che vanta una delle migliori cucine al mondo, se non la migliore. Dopo quella francese, immaginiamo possa aggiungere lo chef!  

Chi è Yannick Alléno? Uno chef o un imprenditore?

Un cuoco. Non mi piace essere definito un business man, trovo che sia qualcosa di lontano dalla cucina. Gestire un ristorante o dei ristoranti, cucinare, “fare” il servizio, avere voglia di preservare al massimo le cose per renderle più belle… tutto questo, piuttosto, si chiama gestione, management. E per fare tutto questo servono poi soprattutto i sogni, sono quelli che ti portano avanti. Quindi, sono un inguaribile sognatore. 

Quando le danno del visionario cosa pensa?

Innanzitutto, bisogna essere all’altezza di ciò che la gente pensa di noi, poi bisogna mettere in pratica questa capacità. Quando hai delle cose da dire devi sempre fare in modo di trovare il giusto equilibrio tra tutte le parti, senza perdere nulla di vista. So che devo riformare una parte della cucina francese e in tale direzione è rivolta ora la mia attenzione. 

Ai ragazzi di 20 anni che si sentono chef cosa dice?

Non voglio giudicare nessuno, non è mio compito farlo. Una cosa è certa, i giovani di oggi hanno più predisposizione al lavoro e più possibilità. Se paragoniamo i miei 20 anni con quelli di adesso, chi inizia oggi è più sicuro, più a suo agio. È impressionante! Quindi non sono assolutamente preoccupato per il futuro della gastronomia.

Cucina responsabile oggi più che mai fa rima con cucina etica. Dicono la sua sia una cucina responsabile. In che senso? Cos’è per lei l’etica?

Nel 2006 ho lanciato ‘Terroir parisien’ ed era qualcosa di innovativo perché nessuno parlava di territorio a quell’epoca. Sono 15 anni che sono impegnato attivamente per salvaguardare le ricchezze del terroir di Parigi e dell’Ile de France. Quando parli di etica bisogna ricordarsi sempre una cosa, che le parole devono unirsi ai fatti. Questo invece è, purtroppo, il tempo in cui si fanno molte parole, tanti discorsi intorno a ciò che è etico, senza sapere come agire o come andare più in profondità. Dare delle coordinate in tal senso è lo scopo delle riunioni che si sono tenute a Melbourne, dove si è parlato di ecologia.

Andiamo al nocciolo della questione, cosa è etico per Yannick Alléno?

Potremmo parlare giorni e giorni su cosa sia etico per me. Avere un’etica è essere responsabile del proprio personale; è molto importante che sia ben focalizzato e cammini nella stessa direzione intrapresa dalla cucina. 

Parliamo di utopie. Parliamo dei ristoranti senza plastica.

Se parli di produzioni industriali non hai molte alternative. È un argomento complicato che va affrontato con i giusti strumenti. Credo però che importante sia stare attenti a quello che si fa. Va bene usare la plastica, se riesci ad essere responsabile al punto da saperla poi riciclare. Sinceramente, sono più preoccupato per i prodotti chimici negli alimenti. La biologia ha ancora molto da fare, e secondo me questo è un aspetto essenziale da mettere a punto.

In che direzione sta andando la cucina?

Non so dove vada la cucina ma so dove vado io, e non saprei rispondere per gli altri chef. Provo a ricercare sempre una mia direzione nel gusto. La cucina francese è una cucina estremamente strutturata e ci tengo a rispettarla. Quella stabilità, quell’equilibrio tipicamente francese è per me molto importante. Di conseguenza poi bisogna organizzare la brigata.

È arrivato sul tetto del mondo, nel paese (Francia) che pare custodisca una delle migliori, se non la migliore, cucina al mondo. Perché ha scelto di ricominciare ancora una volta, tutto dal principio? E perché per farlo ha scelto proprio l’Italia? 

Lavoro sempre allo stesso modo, in qualunque paese io sia. Il prodotto, la materia prima con la quale si lavora è fondamentale. È lui che mi porta verso la direzione che voglio dare al menù, alla cucina. I prodotti delle Langhe mi ispirano tantissimo e mi piacciono molto. Non si scrive un menù, si cucina e in realtà non parto da capo, il ristorante parte da zero ma non io.

Quanta tecnica c’è nella cucina di Yannick Alléno? Nei suoi piatti? E quanta “tradizione”?

In percentuale precisa.  100% passione, 100% tecnica, e 100% istinto e non chiedetemi di scegliere tra i miei piatti, sarebbe come scegliere tra i miei figli. 

Cucina VS Sala. Tra le due anime di un ristorante, spesso, la pace è solo apparente.

C’è stata una evoluzione inarrestabile nei ristoranti. La prima si è vissuta nel dopo guerra degli anni ’40, è lì che ha fatto la sua comparso il servizio al piatto. Poi c’è stata un’evoluzione a partire dagli anni ’60, fino agli anni ’80: qui i ristoranti erano gestiti dai maître d’hotel, spesso dai proprietari dell’hotel, che però non erano cuochi. In seguito, c’è stata la ‘rivendicazione’ dei cuochi. Io ero apprendista all’epoca, abitavo in una camera che dividevo con un amico, guadagnavo pochissimo. Lui tutti i giorni stirava i soldi che guadagnava… poi la storia è cambiata in cucina, anche se il servizio non si è sempre reinventato come avrebbe dovuto. Ho scritto un libro di recente sulla valorizzazione del servizio: l’atto del servizio migliora il gusto, è un qualcosa di completamente utile e funzionale all’esperienza che un commensale farà nel mio ristorante. È un po’ come quando parli di confit, bisogna pensare al confit moderno. 

Il suo è un progetto molto ambizioso. Ha scelto le Langhe e Monforte d’Alba, per vincere facile? In quel pezzo d’Italia tutto diventa oro.

Mi sento a mio agio ovunque, ho scelto le Langhe perché è una regione molto complessa, c’è una logica precisa legata all’energia che sprigionano le vigne, il vino che ne deriva, le colline. È tutto bello nelle Langhe, pur parlando di una regione austera e semmai è proprio la complessità di questa regione a piacermi tanto. Resta inteso che per essere accettati occorre essere convincenti nell’esperienza che si andrà a proporre.  

Lei muove le fila ma in cucina, a Monforte, chi accende i fuochi e riempie i piatti?

Quando facevano questa domanda a Paul Bocuse, lui rispondeva sempre allo stesso modo: “Chi cucina quando manca lo chef? Le stesse persone di quando lo chef è presente”. Vi capiterà di trovare alle volte, il mio braccio destro Martino Ruggieri. Mi sento fortunato ad essere circondato da tutti questi talenti.

Ci siamo abituati ai cuochi in tv. Meno alla cucina fine dining vista dai filtri di Instagram. Quando tardano a mangiare un suo piatto, servito alla temperatura perfetta, per fare l’ennesima foto, quale è il suo primo pensiero? 

Immagino quei piatti come un quadro o un’opera d’arte. Quando il piatto arriva, quando l’opera viene appesa in un museo, ecco, allora la responsabilità di ciò che accade è solo del cliente e del gallerista. Per il resto, dovremmo ricordarci che la cucina non è solo estetica, deve valorizzare anche il gusto.

Tanti i cuochi italiani sono passati da lei. Ce n’è uno che più di ogni altro l’ha reso fiero? Escludendo il talentuoso Martino Ruggeri, suo braccio destro.  

È come quando mi chiedete di scegliere tra i miei piatti. Sono tutti figli miei. Ho lavorato con 35 importanti chef italiani che dopo essere passati dalle mie cucine, hanno preso una Stella Michelin, due Stelle Michelin. Che dire, è stata una bellissima esperienza lavorare con loro, vederli crescere, sentirli fare il mio nome a distanza di tanti anni. A questi livelli lo sai che sono solo di passaggio, non puoi tenerli tutti e spesso sono i migliori a lasciarti  

Non tutti gli chef sono in grado di crescere e formare grandi cuochi. 

Sono sempre stato per la condivisione delle idee, dei punti di vista, delle tecniche, delle ricette. Quando ho scritto il libro sulle salse mi è stato chiesto perché non mi fossi tenuto tutto per me. Non credo in questo approccio. In questo periodo, sono impegnato in un nuovo progetto di formazione sulle salse, all’Institut Paul Bocuse: è giusto poter dare ai giovani queste opportunità. Per tornare alla sua prima domanda, a quando parlavamo di business man, se fossi stato un vero business man, non avrei condiviso nulla delle mie ricerche che durano da una vita, non avrei ‘trasmesso’ nulla.

E quindi, alla fine, è uno chef a tutti gli effetti?

Sì, è proprio così e spesso quanti sacrifici ci siano dietro non si riescono neppure a vedere. Parlando di sacrifici, ho proposto a Martino Ruggieri di partecipare al Bocuse d’Or. E alla fine, aldilà del risultato, penso abbia imparato di più nell’insuccesso che nel successo. Comunque, il Bocuse d’Or richiede dei sacrifici veramente grandi e non sempre si riescono a capire né tanto meno a vedere. 

Cosa manca agli italiani per far bene al Bocuse d’Or?

Parliamo delle Olimpiadi degli chef e per vincere un’Olimpiade bisogna avere una grande responsabilità nazionale. I francesi a un certo punto non l’hanno avuta e quindi si è tornati a lavorare con cuochi in grado di avere una visione nazionale, piuttosto che personale. Abbiamo riorganizzato l’approccio, e adesso penso proprio che funzionerà, aspettiamo i risultati. Magari è lo stesso problema dell’Italia ma non saprei non vivendo il paese. 

C’è qualcosa che Yannick Alléno ruberebbe all’Italia? Alla cucina italiana intendo?

La pizza… una delle più belle invenzioni al mondo.

Era il pupillo di Paul Bocuse, è cresciuto sotto la sua ala. Oggi è lei a crescere tanti giovani talenti in cucina. Un insegnamento. Ce lo dia, come fosse il mio primo giorno nella sua brigata.  

Sarei contento di avere una donna in più nella mia squadra. Penso che si potrebbe e dovrebbe cambiare la posizione della donna in cucina, c’è davvero un gran lavoro da fare intorno a questo aspetto e stiamo lavorando per permettere la stessa formazione anche alle donne. La situazione cambierà quando tutti saranno consapevoli di questo e daranno la giusta importanza a quell’idea di parità che è alla base della società civile.

Che sapore ha la felicità per Yannick Alléno?

Il sapore delle lacrime, delle lacrime di gioia.

Il piatto della felicità di Yannick Alléno?

Ho la possibilità di poter assaggiare sempre cose diverse e sono consapevole della fortuna che ho. Vivo un po’ secondo la filosofia del maestro Paul Bocuse, che citava sempre un vecchio detto: lavora come se dovessi vivere 100 anni, vivi come se dovessi morire domani. 

E se si guarda indietro… ne è valsa la pena?

Ah, non guardo mai indietro.