Segreti di famiglia, il crime-romantico conquisterà l’Italia?

In Turchia è stato un successone, chissà se anche il pubblico italiano si farà conquistare con lo stesso entusiasmo dal ritmo narrativo, dall’azione e dagli intrighi di Segreti di famiglia, titolo italiano e a mio avviso azzeccato con cui Yargı è approdata qui da noi. Trasmessa tutte le domeniche su Canale 5 dalle 21.20, è disponibile in streaming su Mediaset Infinity.
Segreti di famiglia è una “crime fiction” che a novembre scorso è stata incoronata degli International Emmy Awards di New York, gli Oscar della televisione per intenderci, dopo aver fatto incetta di ascolti in patria. 
Parliamo di un genere che tradizionalmente appassiona il pubblico, senza distinzione di luogo, genere ed età, il crime/poliziesco, qui peraltro reso ancora più coinvolgente dalla sfera romantica.  Gli ingredienti ci sono tutti: cast, recitazione, intrecci narrativi e musica. Ah, la musica! Colonna sonora di Toygar Işıklı semplicemente perfetta, a cominciare dalla sigla, quel ritornello ossessivo che senza accorgertene ti ritrovi a canticchiare mentre stai facendo qualunque cosa, complice anche la facilità (una volta tanto) del testo: una sillaba ripetuta all’infinito “Na na na…”.  Il criterio è quello che conosciamo, ogni personaggio chiave ha la sua musica di sottofondo, così come i diversi momenti clou: azione, tensione, amore ecc. Spesso sono solo melodie, che quasi sempre enfatizzano il dramma, ma non mancano canzoni vere e proprie, che lasciano letteralmente il segno, come Ben Ölürsem (Se dovessi morire) scritta e cantata da Işıklı, perfettamente in sintonia con il momento narrativo, drammaticissimo, a cui è legata, ma non aggiungo altro per non spoilerare; Toprak Yağmura  (Dalla terra alla pioggia ) di Can Ozan (meravigliosa, ascoltata anche nella serie Adım Farah) che sottolinea magnificamente uno dei momenti iconici della storia, quando il primo caso è risolto, e anche qui non aggiungo altro; e Dinle Beni Bi’ (Ascoltatemi) cantata invece dal gruppo Yüzyüzeyken Konuşuruz, che ha raggiunto la notorietà proprio con Yargı. 

E dunque, è stata proprio la musica a farmi scoprire Yargı. Adoro in maniera esagerata Toygar Işıklı al punto da ascoltare regolarmente mentre lavoro al computer le colonne sonore di serie che non ho ancora visto e che forse non vedrò mai. Si, perché non sono una dizi-addicted pura, cioè non guardo tutto ciò che viene dal Corno d’Oro e ho elaborato un sistema del tutto personale per decidere se una dizi “merita” il mio tempo o meno. Niente di scientifico, per carità. Semplicemente gusto personale e un criterio di scelta basato sul tempo: venti minuti. Venti minuti sono più che sufficienti per fare un test, se mi prende è fatta, altrimenti passo avanti.  L’universo, in ogni caso, continuerà a vivere lo stesso, sia chiaro.
Dunque, sono approdata a Yargı così e se sono qui a scriverne potrete intuire com’è andata. È andata talmente bene al punto che, vista la prima, ho atteso che si concludesse tutta la seconda stagione per procedere e fatto la stessa cosa anche con la terza: perché Yargı è una di quelle serie che sviluppano dipendenza e non puoi aspettare una settimana per vedere il seguito. Tre stagioni, 95 puntate da due ore e passa l’una. C’è bisogno di aggiungere altro?
La chiave del successo di Segreti di Famiglia? In realtà sono due: la sceneggiatura e Pınar Deniz. 

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(Pınar Deniz nel ruolo di Ceylin Erguvan)

La storia

La storia orizzontale è quella che vede coinvolti i due protagonisti principali, il procuratore dal sangue freddo Ilgaz Kaya e l’avvocatessa pasionaria Ceylin Erguvan. Il primo interpretato da Kaan Urgancıoğlu, la seconda da Pınar Deniz, coppia molto affiatata, dalla bella sintonia, che abbiamo già conosciuto in Love 101, nome italiano su Netflix di una serie che raduna bei talenti turchi.

Premetto subito che ho un debole per lei: a mio avviso è una delle attrici turche più talentuose del panorama attuale. Prima di scriverne, ho atteso che in Italia venissero trasmessi i primi due episodi turchi, che rappresentano un po’ la summa di tutto quello che si vedrà fino al 95° episodio, non solo in termini di intrecci narrativi, ma anche e soprattutto di abilità recitative, di interpretazione. Pınar-Ceylin è senza dubbio la regina delle serie, “kralice”  – regina, appunto – come la chiamerà da un certo punto in poi il commissario Eren. È la regina, come attrice, dando vita ad una gamma di sfumature emotive una più intensa e credibile dell’altra e lo è come personaggio, in grado a mio avviso di dare rotondità anche agli altri personaggi della serie. I due, il procuratore e l’avvocatessa, non potrebbero essere più diversi: lui integerrimo, permeato di valori e di senso della giustizia che deve prevalere su tutto e tutti, tanto quanto lei, rampante e dai metodi non sempre leciti pur di arrivare al suo obiettivo, cioè la difesa del cliente a prescindere dalla colpevolezza, mette al primo posto sempre e comunque la famiglia, gli affetti, l’amicizia. E quando questi due mondi di valori si vanno a scontrare, giustizia da una parte, affetti dall’altra, può succedere l’imprevedibile. 
La serie si apre con uno di quei fatti di cronaca che ahimè abbiamo letto anche sui nostri giornali: il ritrovamento del cadavere di una donna nel cassonetto della spazzatura. Il caso viene affidato a Ilgaz Kaya, figlio peraltro del commissario capo della sezione Omicidi, Metin Kaya. Le cose si complicano subito quando si scopre che nel caso è coinvolto il fratello minore del procuratore, Çınar, adolescente ingenuo un po’ scavezzacollo, cresciuto col doppio-mito, psicologicamente in effetti un po’ pesantuccio, del fratello e del padre, entrambi dalla vita pubblica e personale irreprensibile.
Ilgaz, che conosce bene la fauna che popola il tribunale di Istanbul, non ha dubbi, sceglie Ceylin come avvocato del fratello, consapevole che i suoi mezzucci, la sua scaltrezza e la sua intelligenza possono aiutare a fare chiarezza. E qui si misura tutta la differenza tra i due: mentre Ceylin farebbe e farà di tutto per difendere il ragazzo, a Ilgaz importa – costi quel che costi – solo la verità e dunque la necessità che a prevalere sia la giustizia. Le indagini e quindi le prime frequentazioni fra i due mettono subito in evidenza il diverso codice valoriale fra i due e tu, che guardi, non sai le parti di chi sposare. Ilgaz affascina per la sua rettitudine e imparzialità nel seguire senza tentennamenti il faro della verità, è l’incarnazione della giustizia con cui sogniamo che vengano puniti sempre i cattivi; Ceylin d’altro canto ti conquista per la passione e abnegazione con cui si spende nella difesa dei suoi clienti, laddove percependo l’innocenza di fatto non dimostrabile farebbe qualunque cosa per scagionarli. Tu guardi e provi a metterti nei panni ora dell’uno ora dell’altro, non riuscendo a scegliere definitivamente tra il rigore delle norme scevro da ogni complicazione emotiva e il pathos come faro per arrivare alla verità processuale, che non sempre sappiamo corrisponde alla verità storica. 

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                                      (Ilgaz e Ceylin)

I due, ovviamente, saranno chiamati dal destino a misurarsi ora con un punto di vista, ora con l’altro, con due modi di intendere lavoro e vita diametralmente opposti. Già, perché, è evidente da subito che fra i due nascerà qualcosa che non terminerà con la soluzione del caso. Anzi. Senza fare spoiler, si può affermare che il duo Ilgaz- Ceylin batterà ogni record di separazione-ricongiungimento, tenendo gli spettatori ogni volta col fiato sospeso. 

Ecco, fiato sospeso è l’espressione più corretta per descrivere lo stato emotivo in cui ti lancia questa dizi, attraverso i continui e innumerevoli colpi di scena che si susseguono fino alla fine e che ti faranno dubitare sempre, di tutti e di tutto. E torniamo al primo episodio, al colpo di scena con cui si chiude e che apre il secondo episodio, la scoperta dell’identità della povera ragazza ritrovata a pezzi nel cassonetto. Spiazzante. E intensa la reazione di Ceylin. Ed è proprio lì nella scoperta del vero volto della ragazza morta, che mi sono innamorata di attrice e personaggio. Ceylin al contrario di Ilgaz, decisamente riservato come si addice a chi fa un lavoro come il suo, non ha problemi a esternare ciò che prova, a far emergere dolore, sofferenza, sensi di colpa, trascinandoti in ciò che sta provando. Con la mano che si poggia sul petto, per l’incapacità quasi di respirare e di contenere un dolore che oggettivamente non si può contenere, Pınar Deniz è abile nel gioco dell’empatia, riesce a indurre il meccanismo dell’immedesimazione in chi guarda, che si ritrova a provare ogni singola particella di sensazione da lei vissuta. E lo sarà sino alla fine di questa lunga dizi che a mio avviso vanta il finale di stagione più bello dell’universo dizi (o almeno fra quelle che ho visto io), senza spoilerare mi riferisco alla fine della seconda stagione. E il merito è tutto di Pınar.  Basterà godersi la reazione di Ceylin dinanzi alla scoperta che farà. Puro spettacolo di recitazione.

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                                       (da Wikipedia)

I colpi di scena

Yargı è una gigantesca onda che travolge, lasciandoti però il tempo di capire che stai per essere travolto. Come in un fermoimmagine tu vedi e subisci, emotivamente, la mole di acqua che si è alzata con l’imponenza dei grandi eventi naturali, e sai, sei conscio, che sta per spazzare via tutto e tutti. E questo accresce il senso del drammatico. Più di un fermoimmagine, un’opera d’arte, che ha un nome e un autore: “La Grande onda di Kanagawa” del pittore giapponese Katsushika Hokusai, che campeggia nello studio di Ilgaz e al cospetto del quale spesso si fermerà a riflettere.  In primo piano c’è questa gigantesca onda fermata nel momento in cui sta per travolgere le barche in mare, a simboleggiare forse l’irresistibile forza della Natura e la fragilità della vita umana. Sullo sfondo si vede il sacro monte Fuji, sentinella immobile su ciò che sta per avvenire. Le onde probabilmente sono i vari casi che scandiscono la vita di questa serie, gli eventi che travolgono spesso Ceylin, mentre Ilgaz è la montagna che da lontano prova a vigilare su ciò che accade. Ilgaz, d’altro canto è il nome della catena montuosa più alta della regione del Mar Nero occidentale in Turchia e una canzone della cultura popolare per bambini recita proprio così “Ilgaz, tu sei la grande montagna dell’Anatolia”.
In effetti a Ceylin ne succedono di tutti i colori, forse un po’ troppe. Ma si sa, le serie turche sono così, d’altronde non è facile “riempire” lo spazio di quasi due ore e mezza di puntata. E bisogna essere abili a inventarsi espedienti narrativi ma anche recitativi, come il lungo soffermarsi della camera del regista sul volto degli attori in alcuni momenti clou, utile a sottolineare l’intensità delle emozioni e allo stesso tempo a rosicchiare minuti. Non tutti gli attori però sono in grado di farlo con naturalezza e coinvolgimento. Nel panorama degli attori turchi c’è un attore che è campione in questo, ed è Engin Akyürek (dai, consentitemi di citarlo) tanto da essersi meritato l’appellativo di “attore che recita senza parlare” usando solo le espressioni del volto, lo sguardo, gli impercettibili movimenti del viso, delle labbra. Letteralmente sublime.
Ecco, a mio avviso Pınar Deniz è il corrispettivo femminile di questo modo di recitare. Entrambi affrontano l’obiettivo statico della cinepresa risucchiandoti nel mondo emotivo del personaggio. 

La sceneggiatura

La storia di Ilgaz e Ceylin rappresenta dunque la storia portante di tutta la serie, intorno a cui si sviluppano diversi casi che attraversano più episodi, sfruttando magnificamente l’arte di concentrare negli ultimi minuti di bölüm il colpo di scena, il dettaglio che ti fa montare la voglia di proseguire, di sapere subito cosa è successo. Ricordate che ogni episodio turco è stato spezzettato in tre in Italia, quindi aspettatevi l’eventuale colpo di scena alla fine di ogni terza puntata. In Segreti di Famiglia, casi, fatti e avvenimenti (che a dire il vero in alcuni momenti sfiorano l’improbabile) sono magnificamente cuciti da quel genio di Sema Ergenekon, sceneggiatrice prolifica e di successo, coautrice insieme a Eylem Canbolat di Kara Para Aşk, altro successo mondiale che sfiorò il successo agli Emmy del 2015, dove Engin Akyürek ottenne la nomination come miglior attore, primo turco della storia.
Akyürek in effetti ha dato vita a un personaggio capolavoro, Ömer Demir, molto simile per certi versi a Ilgaz Kaya, per il loro essere idealisti fino al midollo, per il loro attaccamento ai valori della giustizia, per la ricerca ossessiva della verità. Entrambi, chiamati a misurarsi con un sistema della giustizia decisamente fallibile, a tratti anche corrotto. Entrambi condotti sull’orlo del precipizio, costretti a scegliere se rimanere attaccati al mondo in cui hanno sempre profondamente creduto o cedere all’alternativa meno rigorosa, pur di fare giustizia.
È come se in un certo senso Sema Ergenekon abbia voluto portare a compimento il lavoro eccellente iniziato con Black Money Love (titolo con cui Netflix trasmette Kara Para Aşk), cambiando palcoscenico, spostando l’obiettivo della macchina da presa dalle stanze del commissariato alle aule del tribunale, dai travagli di coscienza di un commissario a quelli di un pubblico ministero, entrambi chiamati a misurarsi con il male che si cela dove non ti aspetti. Entrambi che scoprono l’amore lì dove avrebbe vinto la morte, lì dove qualcuno ha perso la vita, lì dove il dolore avrebbe dovuto fare piazza pulita di ogni forma di sentimento positivo, proprio lì invece attecchisce un sentimento nuovo, totale, immenso. Entrambi che si innamorano di donne forti, passionali, volitive, che mentono pur rimanendo sempre leali. Perché la vita non è mai solo bianca o solo nera, ma si consuma in una miriade di sfumature di grigio, che danno profondità all’esistenza stessa.  Ed è questa la chiave del successo di entrambe le serie, la fallibilità umana: gli errori, le cadute, gli sbagli commessi dall’uomo in quanto tale. Perché la perfezione non solo non esiste, ma renderebbe la vita decisamente noiosa.

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                                        (Ceylin Erguvan)

La frase

In questo senso, la frase, una delle tante chicche che pronuncia Ceylin, è piuttosto rivelatrice, quando dice di sé stessa: “Non sono il tipo di persona che fa sempre le mosse giuste”. 

Le citazioni

Una cosa che mi piace molto di questa serie è la scelta di dare inizio a ogni bölüm con una citazione colta. Aforismi, frasi estratte da opere di scrittori, filosofi ma anche anonimi, che in qualche modo provano a rendere il senso di ciò che vedremo nell’episodio.
Ne scelgo una: “La cosa più segretamente temuta accade sempre.”  È una frase che Cesare Pavese scrisse poco prima di togliersi la vita nel diario “Il mestiere di vivere”. Cesare Pavese ricorre anche in Kara Para Aşk. È evidente quanto lo scrittore e poeta italiano appartenga all’universo letterario cui fa riferimento Sema Ergenekon. E non ci stupisce, se pensiamo che Pavese nei suoi lavori emerge come uomo dall’animo tormentato, alle prese con amori impossibili, in bilico sempre, tra impegno civico/politico e ricerca individuale, fra campagna e città, tra modernità e passato. E non sono forse i temi ricorrenti delle dizi più belle? 

Le donne

Al di là dei casi che si intrecciano, il bello di questa serie è anche la complessità dell’universo femminile che viene rappresentato. Accanto alla “kralice” Ceylin ci sono tante donne che si ritagliano il loro spazio e che insieme riflettono e ci restituiscono la complicatezza, spesso contradditoria, dell’altra metà del cielo e del loro (nostro) modo di relazionarci col mondo, con noi stesse e con gli uomini. Gli episodi criminali che si consumano sono quasi sempre a danno di donne, un messaggio forte di denuncia nei confronti di quanto avviene nel mondo in termini di violenza di genere. Bellissima la rinuncia da parte di Ceylin di assumere la difesa di chi si è macchiato di atti ignobili nei confronti di donne e minori.
Tra tutte le donne rappresentate nella serie, c’è un personaggio che ho molto apprezzato, Tuğçe, interpretato da una giovanissima attrice, appena diciannovenne, Merve Ateş. Bisogna attendere un po’ prima che compaia nella serie, non aggiungo chi è per non spoilerare, ma dico solo che sono rimasta molto colpita non solo dalla bravura dell’attrice ma soprattutto dalla bellezza del personaggio: scontrosa, intelligente, leale, amica. Nella parte finale della dizi, quindi occorre decisamente aspettare, sarà al centro di un avvenimento tragico e mi ha coinvolta particolarmente per il modo in cui la giovanissima attrice lo ha quasi vissuto. Accanto a lei appare anche un altro bravissimo giovane attore, mai visto prima che, secondo me, potremmo rivedere presto e spesso in altri lavori, si tratta di Ulvi Kahyaoğlu. Qui lo vediamo nei panni di Efe, un giovane procuratore. Li ho amati entrambi.