Visit Italy: record d’arrivi, ma cresce il turismo della Checklist Era

Visit Italy

Visit Italy, il nuovo report svela come il turismo si sia trasformato in consumo superficiale: per la maggioranza la destinazione non è un’esperienza, ma una scelta dettata dai social

Viaggio ergo sum? Viaggiamo moltissimo – lo dicono i numeri, lo confermano aeroporti, prenotazioni, itinerari serrati – eppure non è scontato che viaggiamo davvero. Perché c’è una differenza sottile — e decisiva — tra attraversare i luoghi e lasciarsi attraversare dai luoghi. Tra il semplice spostarsi di luogo in luogo e il vivere pienamente l’esperienza del viaggio. In un’epoca velocissima come quella che viviamo, anche il viaggio sembra essersi trasformato in altro.
È la conferma che emerge dall’ultimo report di Visit Italy, piattaforma culturale indipendente per la promozione e valorizzazione del turismo con una community di oltre 4,1 milioni di viaggiatori: una fotografia che, se da un lato appare esaltante, dall’altra inquieta. L’estate 2025 ha portato, infatti, numeri record per l’Italia – con oltre 70 milioni di arrivi e una crescita del +6,4% rispetto al 2024, di cui 38,5 milioni provenienti dall’estero- ma ha anche messo a nudo l’effetto della cosiddetta Checklist Era, l’epoca in cui il viaggio tende a somigliare a una prestazione, a una lista da spuntare, più che a un’esperienza da vivere.  Tre persone su quattro, infatti, pianificano il proprio viaggio guidate dalle icone da “collezionare”, e il 71% ammette di aver scelto la meta sull’onda della fotogenicità social dei luoghi. È un paradosso: più ci muoviamo, più rischiamo di restare in superficie. Fermi, insomma.

Si viaggia con la logica del mordi e fuggi, dunque, come provano anche alcuni indicatori – come sottolinea Ruben Santopietro, CEO e founder di Visit Italy: il tempo medio delle visite ai musei che è sceso dalle tre ore a mezz’ora; il successo di pacchetti che promettono cinque capitali europee in sette giorni; una persona su due che torna a casa meno rilassata di quando è partita.

“Oggi, troppo spesso, viaggiare significa spuntare. Spuntare la lista delle cose da vedere. Le attrazioni da fotografare. I luoghi da mettere in curriculum per poter dire “ci sono stato”. Come se lo scopo del viaggio fosse completare una collezione, non vivere un’esperienza”, spiega ancora Santopietro “selfie, TikTok e tendenze virali guidano l’esperienza: ci muoviamo molto, ma spesso il viaggio è più simile ad una prestazione, che a un’esperienza trasformativa.”

Il valore del tempo
Forse la chiave sta proprio nel tempo. Il tempo come condizione dell’ascolto, come respiro che consente ai luoghi di parlare. E a chi viaggia di ascoltare. Di sentire, per esempio, anche con l’olfatto. Se c’è un tratto capace di lasciare veramente il segno ed emozionarci, di distinguere un posto dall’altro non è forse il suo profumo? L’odore del pane in una strada laterale, dell’aria salmastra che cambia con la direzione del vento, dell’uva nei cortili d’autunno, del legno bagnato dopo un temporale…Ma ormai siamo così distratti dalla fretta di visitare i “luoghi imperdibili” per accorgercene davvero; eppure è l’olfatto — lo sapeva bene Proust — a riattivare con più forza la memoria. E dunque le emozioni.
È proprio attraverso i sensi che un viaggio si fa esperienza: non perché “guardiamo” molto, ma perché riusciamo a “vedere” e “sentire” qualcosa che ci rimarrà addosso per sempre.

Luci e ombre
Ciò che di positivo emerge dallo studio è che l’Italia continua a essere scelta per una pluralità di ragioni che non hanno bisogno di aggettivi: relax e spiagge (69%), cultura con città d’arte (65%) ed enogastronomia (56%) restano i principali elementi chiave, e la natura con la montagna (47%), a conferma di una crescente domanda di un turismo autentico e all’aria aperta.  Le prenotazioni – come riporta ancora il report – avvengono prevalentemente tramite piattaforme online (50%), I viaggiatori che si affidano ancora alle agenzie tradizionali sono pochi (4,8%), mentre chi prenota direttamente presso le strutture ricettive rappresenta il 22,2%. C’è poi una quota che parte senza alcuna prenotazione, preferendo viaggi spontanei (9,5%).  La maggior parte dei viaggiatori stranieri ha scelto soggiorni medio-lunghi (36%), contro solo un 5% di brevi permanenze. A incidere sono soprattutto i viaggiatori extraeuropei, che restano oltre i 10 giorni ma distribuiscono il tempo su più località, segno di un turismo frammentato e collezionistico, tipico della Checklist Era.

Capitale diffuso
Inutile sottolineare che il nostro Paese ha ed è un capitale diffuso, fatto di borghi e campagne, di tradizioni, di cucine e di vini, di paesaggi che cambiano nel raggio di pochi chilometri. E proprio qui si gioca il passaggio dalla quantità al valore: non misurare solo gli arrivi, ma la qualità dell’esperienza, l’equilibrio con la vita dei residenti, la capacità di carico dei luoghi. Non si tratta di “fare meno”, ma di fare meglio: mettere in relazione curiosità e cura, desiderio e responsabilità.
È qui che risiede la soluzione al problema dell’overtourism, che si dovrebbe governare con politiche di calendario e di capienza, con una mobilità ragionata, con narrazioni che spostano lo sguardo oltre l’1% più famoso: c’è un 99% del territorio italiano ancora invisibile. La “ricetta” proposta: “Non è sufficiente attrarre visitatori: è necessario garantire un equilibrio tra crescita economica, qualità dell’esperienza e tutela delle comunità locali.” La parola d’ordine? “Rigenerazione”: il momento in cui un territorio può trasformare una crisi in opportunità, innovando modelli e narrazioni. Rigenerare significa restituire centralità alle comunità, valorizzare identità e tradizioni locali e misurare il successo non solo attraverso i flussi, ma nell’impatto sociale, ambientale e culturale che il turismo genera, sottolinea ancora Visit Italy.

Le singolarità come valore
Insomma, provando a tradurre in indicazioni per le località ancora “invisibili”, l’invito è quello di cogliere questa opportunità per emergere lavorando sulla singolarità. Scegliere un baricentro sensoriale (un profumo, un suono, un gusto) e farne un filo rosso dell’accoglienza; significa progettare rituali di tempo — visite a porte chiuse, pause narrative, panchine lungo i cammini, brevi letture in un chiostro, assaggi ragionati — che invitino a rallentare; significa raccontare il presente con una lingua colta ma ospitale, intrecciando storia e vita quotidiana senza cedere ai cliché. È utile anche cucire filiere corte tra musei, artigiani, agricoltura, cantine, osterie: pass integrati, capienze dichiarate, prenotazioni semplici. Sono dettagli apparentemente tecnici, ma hanno un effetto diretto sull’esperienza, distribuiscono i flussi, alzano la qualità percepita e restituiscono dignità al lavoro delle comunità.

Valorizzare l’invisibile
“Non si tratta di ridurre i numeri – ribadisce Visit Italy – ma di dare senso al loro peso, affinché la crescita non significhi consumo, ma valore condiviso.  Recuperare la promessa originaria del turismo: non overtourism che svuota, ma incontro che arricchisce; non sfruttamento dei luoghi, ma trasformazione reciproca tra chi viaggia e chi ospita.”
Tutto questo non toglie nulla alla potenza dei numeri; anzi, li mette al lavoro. Un’Italia desiderata, capace di accogliere con intelligenza e di distribuire il desiderio sul suo 99% spesso (appunto) invisibile, è un’Italia che trasforma la visita in un incontro e l’incontro in memoria condivisa. E allora viaggio ergo sum torna a essere un’affermazione possibile: sono perché ho dato tempo ai luoghi di dirmi chi sono (in terza persona plurale, ma anche in prima singolare), e mi sono lasciato cambiare da ciò che ho incontrato, visto, sentito, sperimentato.
Non è un’operazione nostalgica, ma un atto contemporaneo di cura: per chi viaggia, per chi ospita, per i luoghi che ci tengono insieme.

Il report “Benvenuti nella Checklist Era del Turismo”

* Foto di Rebecca Hausner su Unsplash