I 24 commissari del Consiglio dell’Unesco, riuniti ieri mattina a Jeju in Corea del Sud, hanno votato all’unanimità per l’inserimento dell’ “Arte del Pizzaiuolo Napoletano” nella prestigiosissima lista dei Patrimoni Culturali Immateriali dell’Umanità
Quella di ieri, 7 dicembre 2017, rimarrà nella storia della gastronomia e della cultura italiana come una delle date da ricordare e da scolpire nella memoria di ogni italiano che ama ancora il nostro bel paese, fatto di tantissimi artigiani professionisti che quotidianamente valorizzano le decine di eccellenze agroalimentari che hanno reso celebre il Made in Italy nel mondo: dalla pasta ai formaggi, dai salumi all’olio extravergine d’oliva e, da qualche anno, la pizza che da ieri mattina è ufficialmente (e meritatamente!) nello scrigno dei 54 beni italiani tutelati dall’Unesco. La pizza si aggiunge così agli altri beni patrimonio dell’umanità che si trovano in Campania, tra cui la Costiera Amalfitana, la Reggia di Caserta, gli scavi di Pompei ed Ercolano e il centro storico di Napoli solo per citare i più famosi.
L’iter burocratico iniziò nel 2009, quando il Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali (presieduto da Luca Zaia) in collaborazione con la Regione Campania, le Associazioni dei Pizzaiuoli Campani, l’Associazione Verace Pizza Napoletana, Coldiretti Campania e la fondazione Univerde presieduta da Alfonso Pecoraro Scanio, ministro dell’Agricoltura dall’aprile 2000 a giugno 2001 e ministro dell’Ambiente durante il secondo governo Prodi (furono raccolte 300mila firme, diventate ben 2 milioni nel giro di 8 anni, per scuotere l’attenzione dei commissari Unesco e 163 sono stati i Paesi coinvolti nel negoziato internazionale), si fece promotore del dossier di candidatura della pizza come espressione massima dell’identità culturale dei napoletani, avvalendosi della supervisione del professor Pier Luigi Petrillo.
Enorme la soddisfazione del ministro Maurizio Martina e dell’ambasciatrice italiana presso il palazzo dell’Unesco, Vincenza Lomonaco, la quale ha rimarcato l’importanza della valorizzazione delle tradizioni agroalimentari nel contesto educativo, scientifico e culturale dell’Onu. Già nel marzo del 2015 il ministro Martina si era espresso sulla battaglia normativa al falso Made in Italy, a quell’italian sounding che ogni anno si tramuta in un doppio danno nei confronti delle eccellenze italiane: di immagine ed economico. ‘La decisione del nostro governo’, affermò il ministro, ‘di sottoporre al vaglio dei commissari Unesco a Parigi l’Arte dei Pizzaiuoli Napoletani ha l’obiettivo di riaffermare l’importanza del patrimonio agroalimentare italiano, nonché di contrastare qualsiasi fenomeno d’imitazione dell’antichissima arte italiana della pizza e di rilanciare le tecniche tradizionali di produzione, tramandate da generazioni’.
La motivazione con cui la commissione Unesco ha deciso di iscrivere l’Arte del Pizzaiuolo Napoletano nella Lista rappresentativa del Patrimonio Culturale Immateriale dell’Umanità è la seguente: ‘Il know-how culinario legato alla produzione della pizza, comprendente gesti, canzoni, espressioni visuali, gergo locale, capacità di maneggiare l’impasto della pizza, esibirsi e condividere, è un indiscutibile patrimonio culturale. I pizzaioli e i loro ospiti si impegnano in un rito sociale, il cui bancone e il cui forno fungono da palcoscenico durante il processo di produzione della pizza. Tutto questo si verifica in un’atmosfera conviviale che comporta scambi costanti con gli ospiti. Partendo dai quartieri poveri di Napoli, la tradizione culinaria si è profondamente radicata nella vita quotidiana della comunità. Per molti giovani praticanti, diventare Pizzaiolo rappresenta anche un modo per evitare la marginalità sociale’. E’ così che la pizza, da semplice piatto del popolo, diventa ufficialmente un piatto d’alto rango, la cui preparazione presuppone oggi una manualità sempre più professionale, nonché un’opportunità di riscatto sociale per molti under 20, specialmente nella regione Campania.
La pizza si aggiunge finalmente agli altri Patrimoni italiani immateriali dell’Umanità: il Canto a tenore e l’Opera dei pupi (inseriti nel 2008), la Dieta Mediterranea (2010), l’Arte del Violino a Cremona (2012), le Macchine a spalla nelle processioni (2013) e la Vite ad alberello dell’isola di Pantelleria (2014), per il cui negoziato si è attivato lo stesso professor Petrillo.
Trattasi indubbiamente di un traguardo importantissimo per il piatto più rappresentativo della città di Napoli, della Campania e dell’Italia intera, se si pensa che fino a pochi anni fa alla pizza non era riservata tutta l’attenzione che meritava, sia da un punto di vista della lavorazione degli impasti che da quello dell’utilizzo delle materie prime per la sua farcitura. Ma è un tassello fondamentale e strategico anche nella difesa di questa eccellenza italiana nel mondo, dove la pizza non sempre viene rispettata e lavorata con la tecnica e l’esperienza necessarie a renderla una pietanza non semplicemente gustosa, ma anche e soprattutto salutare e identitaria di un territorio.
Ma la pizza, sia napoletana che d’autore, in Italia è anche donna. Siamo abituati a vedere dietro al bancone di lavoro delle pizzerie esclusivamente uomini ed invece è bello sapere che in patria, precisamente in Abruzzo, abbiamo una professionista speciale (è anche sommelier) che si è distinta per la sua bravura ma soprattutto per il suo coraggio: Marzia Buzzanca di ‘Percorsi di Gusto’ a L’Aquila. Una donna che ha dovuto fare i conti con i danni del terremoto del 2009, costretta a chiudere il suo locale in centro e trasferirlo fuori città ma riuscendo, con tanta determinazione, a renderlo famoso, grazie alla qualità delle materie prime utilizzate e alla versione gourmet delle sue fantastiche pizze.
Fedeli custodi di una maestria artigianale unica al mondo sono quei pizzaiuoli italiani che, soprattutto negli ultimi anni, hanno fermamente creduto nella forte valenza identitaria della pizza, sdoganando quell’alone commerciale (privo di vera qualità) che si era pericolosamente diffuso in patria ma anche, e soprattutto, all’estero dove già da qualche tempo alcuni pizzaiuoli campani stanno facendo capire, attraverso vero e proprie lezioni di tecniche e conoscenze, come si prepara una pizza che possa definirsi a regola d’arte. E tra manualità, lieviti madre, tempi di lievitazione, purezza e durezza dell’acqua, macinature delle farine, giusta temperatura del forno durante la cottura, materie prime utilizzate per la farcitura e, cosa di non poco conto, giuste attrezzature, la pizza viene oggi interpretata come un vero e proprio piatto d’autore.
‘L’Unesco ha riconosciuto la dimensione culturale e sociale di questo sapere antico – afferma Rocco Pozzulo, Presidente Federazione Italiana Cuochi – che ha regalato al mondo non solo uno degli alimenti più sani e completi, ma anche un cibo che unisce, al di là di ogni differenza sociale, economica e culturale e, soprattutto, una parola della lingua italiana che, senza bisogno di essere tradotta, riesce a trasmettere emozioni immediate’.
Non bisogna dimenticare poi l’importanza della pizza dal punto di vista occupazionale, se si pensa che, solo fino a due anni fa, Coldiretti lamentava ben 6mila posizioni vacanti nel settore, 65mila lavoratori italiani impiegati su un totale di 100mila assunti durante la settimana che diventavano 150mila nei weekend (per cui quattro pizzaioli su dieci erano stranieri, soprattutto originari del Marocco e dell’Egitto). Oggi, invece, i dati (200mila assunti, praticamente raddoppiati) dimostrano come il settore delle pizzerie abbia in poco tempo avuto un’accelerazione verso alti standard qualitativi e, soprattutto, una particolare attenzione da parte di giovani pizzaioli che amano sempre più questo antico mestiere. Un mestiere che porta a sfornare quotidianamente in Italia qualcosa come 8 milioni di pizze, per un consumo pro capite di 38 pizze all’anno ed un giro d’affari annuale di 12 miliardi di euro.
Protagonisti di quella che può definirsi la rivoluzione cultural-gastronomica della pasta lievitata sono grandissimi Ambasciatori del gusto del Made in Italy, in primis pizzaiuoli campani del calibro degli eredi di Michele Condurro (www.damichele.net), Franco Pepe (www.pepeingrani.it), Enzo Coccia (www.pizzarialanotizia.com), Ciro Salvo (www.50kalò.it), Ciro Oliva (www.pizzeriaoliva.it), Gino Sorbillo (www.sorbillo.it), Francesco e Salvatore Salvo (www.salvopizzaioli.it), Gianfranco Iervolino (www.morsierimorsi.it), per citare i più noti a Napoli e dintorni, senza dimenticare, fuori regione, Giancarlo Casa (www.lagattamangiona.com), Gabriele Bonci (www.bonci.it), Simone Padoan (www.pizzeriaitigli.it), Renato Bosco (www.saporeverona.it), Marzia Buzzanca (www.percorsidigusto.com), Matteo e Salvatore Aloe (www.berberepizza.it), Giovanni Mandara (www.piccolapiedigrotta.com), Salvatore Gatta (www.fandangopub.it), la famiglia Roscioli (www.anticofornoroscioli.it ) e molti altri sparsi in tutta Italia, da Nord a Sud, isole comprese.
L’inserimento dell’Arte del Pizzaiuolo Napoletano nel patrimonio Unesco è una vittoria di Napoli, dei napoletani e di tutti gli italiani orgogliosi delle eccellenze agroalimentari che i tanti territori presenti nelle regioni d’Italia, con le loro incredibili biodiversità, offrono quotidianamente. Eccellenze DOP e IGP, come il pomodoro San Marzano e la mozzarella di bufala su tutti, valorizzate anche attraverso la pizza che, sul suo famosissimo disco di pasta sapientemente lievitata, accoglie ogni giorno in migliaia di pizzerie e ristoranti (italiani e non) i migliori prodotti del vero made in Italy. Adesso bisogna continuare a fare squadra (Pizzaioli, Produttori, Associazioni, Istituzioni, Organi di controllo) e puntare tantissimo non solo sulla qualità degli ingredienti e la manualità dei pizzaioli ma anche sulla corretta informazione e la fondamentale formazione dei giovani, affinchè l’intero settore e il relativo indotto possano ancor più diventare un grosso traino per l’economia italiana.