Elisabetta Ballerini, restare sempre aggiornati

Elisabetta Ballerini ha tante primavere sulle spalle, ma con la viva ambizione di volersi sempre aggiornare sull’amore che l’ha folgorata anni fa. È la sommelier del ristorante di famiglia 1 Stella Michelin La Tavola, realtà dove operano il figlio e chef Riccardo Bassetti, il marito responsabile della panificazione Giovanni e lei, che con la sua graziosa presenza, è riuscita negli anni a togliersi enormi soddisfazioni sul lavoro. Parliamo di una delle due offerte gastronomiche che è possibile trovare all’interno dell’Hotel Il Porticciolo, dove trova posto anche l’offerta de L’Osteria. 

Chi è Elisabetta Ballerini?

Sono nata a Como, dove ho trascorso la mia infanzia. Con lo spostamento dell’azienda di mio padre, mi sono trasferita a Laveno Mombello, paese nel quale all’età di 22 anni, ho conosciuto mio marito Giovanni Bassetti che aveva un bar-ristorante in centro paese. Tre anni dopo ci siamo sposati e siamo venuti ad abitare nella struttura dove siamo ancora oggi, Il Porticciolo. Abbiamo aperto prima il ristorante, poi l’albergo e due anni dopo è nato Riccardo. Ho iniziato a lavorare in sala e ho notato che mi piaceva lavorare con la gente. Ho deciso quindi di seguire un corso di sommelier professionista nel 1993 – periodo in cui le donne sommelier erano veramente poche – e uno professionale di pasticceria alla CAST Alimenti di Brescia, per la mia passione verso questo mondo creativo. Da quel momento ho deciso di dedicarmi interamente alla sala. 

Quando ha capito che avrebbe fatto la sommelier?

Poco tempo dopo che avevo iniziato la mia esperienza in sala mi sono appassionata di vino e da lì ho iniziato il mio percorso professionale nell’ambito. Approfondivo il tema anche fuori dal contesto lavorativo e, nel tempo libero, mi ritagliavo dello spazio per degustare vini importanti insieme ad amici. La passione è nata insieme al desiderio di formarmi professionalmente. 

Il più bel ricordo che conserva del vino?

Avendo lavorato per tanti anni in questo campo ne ho molti a riguardo, ma uno in particolare. Un tempo, durante una degustazione di vini alla cieca tra quattro colleghi, ognuno doveva decifrare il proprio vino. Io ricordo di essere stata l’unica a raggiungere quest’obiettivo e nemmeno per fortuna, ma solo dopo un percorso ragionato. Ricordo anche che si trattava di un Primitivo di Manduria, che da quel momento è diventato il mio vino preferito. Mi piace come gusto, intensità, profumo e per i suoi sentori fruttati e floreali.

Elisabetta Ballerini ha ottenuto importanti riconoscimenti nel corso della carriera?

Il premio più importante è stato il Premio Terra Moretti “Fattore Donna” de Le Guide Espresso nel 2018. È stato un piacere immenso riceverlo perché inaspettato e perché veniva assegnato a una categoria tuttora poco rappresentata. Per una donna è più difficile fare questo lavoro, in primis per via del maggior impegno familiare. L’abitare distante dalle grandi città dove si tengono le degustazioni, nel mio caso, non mi ha aiutato ma non per questo mi sono mai arresa. Ho sempre cercato di documentarmi e di dare un valore aggiunto in sala ai miei clienti, i quali adesso non aprono nemmeno la carta vini e si fanno guidare dalle mie scelte. Ecco, se devo indicare il più importante riconoscimento, credo che sia proprio questo. 

Quali sono gli ultimi libri che ha letto? Che cosa ci abbinerebbe?

Gli ultimi libri che ho letto sono stati ‘La verità sul caso di Harry Quebertz’ e ‘Cambiare l’acqua ai fiori’. Il primo è un giallo che mi ha appassionata molto, è un libro piuttosto triste, drammatico, che parla di una ragazza giovane e assassinata. Il secondo è la storia di una guardiana di un cimitero che ha due guardaroba, “inverno” ed “estate”. Non hanno però nulla a che fare con le stagioni, bensì con le circostanze. Il primo contiene solo vestiti classici e scuri destinati agli altri, il secondo vestiti chiari e colorati esclusivamente destinati alla protagonista, che indossa l’estate sotto l’inverno e si toglie quest’ultimo quando è da sola. Al primo libro abbinerei un vino strutturato e con molto carattere, per esempio un Chianti, mentre al secondo un vino fresco da dessert, come uno Zingarello, dalla struttura leggera e profumata.

Il piatto che piace di più ad Elisabetta Ballerini della cucina di suo figlio Riccardo? Che cosa consiglia in abbinamento?

Il mio piatto preferito di Riccardo è la Mousse e gelatina di pesca bianca di Napoli e lamponi che ha servito durante l’estate. È un piatto colorato, profumato e buono, con diverse qualità che possono piacere a una donna, perfetto in abbinamento al Moscato d’Asti di Saracco. In un contesto come il nostro – ovattato all’interno e con vista lago all’esterno – la sensazione di piacere nel degustare un piatto come questo si amplifica.

Come è cambiato il mondo del vino da quando ha iniziato e come cambierà?

Rispetto a un tempo, credo che i ragazzi siano più appassionati di quanto lo eravamo noi e che abbiano a disposizione più strumenti per informarsi. Per quanto riguarda i ristoranti, invece, le carte vini sono andate ad allungarsi, per offrire maggiore scelta al cliente, sia nella direzione dei vini del Sud-Italia – più buoni rispetto a un tempo, quando si prediligevano le produzioni delle cantine sociali – sia verso quella del biologico. Nella carta del Ristorante La Tavola, nonostante abbiamo segnalato con una fogliolina tutte le etichette BIO, ce le richiedono solo 3 clienti su 1000. 

Che consiglio Elisabetta Ballerini si sente di dare a un giovane che vuole intraprendere la sua strada?

La professione del sommelier, analogamente alle altre del settore ristorativo, è sempre più richiesta. Se da un lato chi sceglie questa strada troverà sempre uno sbocco, dall’altra è importante considerare che l’impegno è maggiore di quanto si creda. È necessario offrire disponibilità anche nei giorni di festa e, per arrivare in alto, bisogna avere dedizione al lavoro, curiosità costante e volontà di conoscere la materia prima, confrontandosi con i produttori e restando aggiornati sui nuovi vini e sulle tendenze. I clienti sono inoltre mediamente più preparati rispetto a un tempo ed è quindi importante andare oltre la mediocrità: far scoprire vini di produttori di nicchia, che riescano a stupire il palato di chi li assaggia, è diventato uno dei principali obiettivi di questo lavoro.

Una zona di cui si sentirà molto parlare negli anni a venire? E un vino simbolo, in questo senso?

Mentre il Piemonte e la Toscana rimangono delle certezze per i rossi, il Friuli, il Veneto, il Trentino e la Lombardia per bianchi e spumanti, credo che si stia conoscendo sempre di più l’importanza delle produzioni meridionali, provenienti da regioni quali Sicilia, Campania, Sardegna e Calabria. Nonostante ci siano sempre state, non hanno mai avuto la risonanza attuale. Un vino simbolo di questa nuova tendenza è il Grisara di Ceraudo, un’etichetta interamente realizzata con un vitigno autoctono recuperato dal produttore – il Pecorella – e prodotto sulle coline di Strongoli, a 60 m sul livello del mare. In questa realtà la raccolta viene ancora effettuata a mano e la fermentazione viene avviata senza l’utilizzo di lieviti selezionati.