Ci sono donne che stanno un passo indietro e poi ci sono le Donne che vanno a prendersi ciò che gli spetta. Karime López, una Donna chef dispensatrice di valori. Nadia Afragola ci svela i segreti della chef messicana.
Il rispetto di Massimo Bottura, la riconoscenza delle colleghe messicane, una Stella Michelin da cucirsi sul petto, l’amore di un uomo, che risponde al nome di Taka Kondo, si proprio lui, il sous chef dell’Osteria Francescana. Karime López ha la grazia innata di chi è stata in grado di fare della sua indipendenza la sua arma in più. Ama l’arte, studiava arte ma le vetrine parigine l’hanno ammagliata al punto da ispirarla e condurla verso ciò che sarebbe stato il suo futuro: l’alta gastronomia. È forte, tenace, creativa e vivace, oltre che pronta a diffondere valori significativi e non parlatele di “contaminazione”. Non vi ricorda, per caso, un’altra messicana? Tal Frida Kalho. Ah… la vita!
Chi è Karime López?
«Una cuoca messicana, in Italia da tre anni, sposata con un giapponese che si chiama Taka, figlia di Carmen e sorella di Marianne».
Ha studiato arte, come mai questo cambio radicale e la scelta di diventare chef?
«In realtà non credo di aver stravolto così tanto la mia essenza. Quando ero a Parigi sono rimasta incantata davanti alle vetrine delle pasticcerie. Erano sculture, era arte, non era solo cibo. Così ho unito le mie due passioni, l’arte e il mangiare ed ho iniziato a cercare una scuola di cucina che mi insegnasse a declinare quelle forme plastiche che avevo studiato, in piatti commestibili. È iniziata così la mia formazione culinaria, a 18 anni».
Cosa significa per lei la parola contaminazione?
«È un termine che non mi piace, si porta dietro un’accezione negativa che ha a che fare con qualcosa di tossico, di non sano. Quando sono arrivata in Italia leggevo di chef che facevano una “cucina di contaminazione” e ne ero stupita, perchè per me era una cosa negativa. Nel mio paese quel termine non ha significati positivi. Userei altre parole per esprimere quel senso di commistione che si vuole sottintendere, parlerei di influenze più che altro».
È la prima cuoca messicana a ricevere la Stella Michelin. Che effetto le fa?
«Ho scoperto di essere la prima messicana ad essere insignita della Stella Michelin solo dopo il 6 novembre. Me lo ha detto mia madre, ma ero comunque incredula. Pensavo che “l’amore di mamma” le facesse vedere le cose in maniera un po’ travisata. Così ho iniziato a chiedere conferme tra le mie conoscenze e tra le mie colleghe compatriote e ho scoperto che era effettivamente così. Non sono mai arrivata però a pensare “sono l’unica messicana ad avere la Stella”. Non è una responsabilità che voglio sentire e da cui voglio farmi schiacciare e non mi sento per questo più importante delle mie colleghe».
Adesso è una bandiera per il suo paese.
«Questo l’ho capito quando ho ricevuto un riconoscimento da parte dell’Ambasciatore messicano Carlos García de Alba, in quanto referente della cucina internazionale e Ambasciatrice della grande tradizione gastronomica del Messico. Ricordo quel giorno, mi scoppiava il cuore, anche perchè alla premiazione è seguito un evento in cui ho potuto mangiare, dopo un anno e mezzo, la cucina tradizionale del mio paese. È stato come tornare a casa tra la mia gente».
Come ha reagito suo marito quando le hanno cucito sul petto la Stella Michelin?
«Era super contento. È il mio fan numero 1. Era orgogliosissimo».
Quando state insieme, lei e suo marito, riuscite a non parlare di lavoro?
«Assolutamente sì. Se ne parla moderatamente, perchè è naturale, è la nostra vita e la nostra passione, ma abbiamo capito che per mantenere un rapporto sano, bisogna staccare e godersi i pochi momenti insieme».
C’è stato un momento della sua vita dove veniva presentata come “la moglie del sous chef di Massimo Bottura”. Ora che la sua identità è ben riconosciuta e sul palco della Michelin era l’unica donna premiata, come si sente?
“Non sono mai arrivata però a pensare sono l’unica messicana ad avere la Stella”. Non è una responsabilità che voglio sentire e da cui voglio farmi schiacciare e non mi sento per questo più importante delle mie colleghe”
«Questo mi fa pensare: perchè sono stata l’unica donna su quel palco? Non sono un’illuminata, non sono un super eroe. Ci sono altre donne che hanno le mie capacità. Il fatto che ci fossi solo io, su quel palco, deve servire a dare voce ad altre donne come me. È un punto di partenza, non di arrivo. In Messico c’è lo stesso maschilismo che troviamo in Italia, ma la cucina ha regole un po’ diverse; basti pensare che le prime figure che rappresentavano il Messico nei congressi internazionali di cucina, erano proprio delle donne».
Come si risolve questa disparità tra uomo e donna?
«È una realtà indiscutibile. Per quanto riguarda la nostra Osteria, di 10 curriculum arrivati, solo 2 sono di donne. Per quanto mi riguarda però, e qui gioca più la casualità che una strategia femminista, nella mia cucina ci sono moltissime donne. Sono fermamente convinta che il cervello non abbia sesso, e mi piace che tutti facciano tutto, a prescindere dal genere».
Chi è per lei Massimo Bottura?
«È la mia guida e il mio maestro, non solo in cucina, ma anche nella vita. Ha una spiccata sensibilità, mi dà tante responsabilità e questo è per me motivo di orgoglio. Ha un modo tutto suo di dire le cose e sa come dirle in base alla persona che ha davanti. Come quando ad esempio mi ha detto che sarei diventata lo chef di Gucci Osteria: era il giorno prima della chiusura dell’Osteria Francescana ad agosto, avevo appena terminato il mio contratto lì, e senza nessuna aspettativa nei suoi confronti, stavo cercando altre cucine in cui lavorare. Ero in un bar a Modena con Taka, mio marito, e ho ricevuto una telefonata da parte di Massimo (Bottura), seguita subito dopo dal suo arrivo al locale. Ha iniziato ad urlare bonariamente, a suo modo, chiedendomi come mai cercassi un lavoro. Ho risposto che non c’erano posti liberi all’Osteria Francescana o alla Franceschetta (l’altro progetto ristorativo di Massimo Bottura a Modena) e che quindi mi sembrava naturale andare in altre direzioni. Massimo mi ha risposto che c’era un altro progetto in vista pronto per me, ma non avendo ancora firmato il contratto con la proprietà, non poteva parlarne. Così mi disse: “vuoi fare parte di questa nuova realtà oppure no?”. Dovevo scegliere lì, su due piedi, senza nemmeno sapere dove fosse questo nuovo ristorante. Mi sono fidata ciecamente, gli ho risposto “sì”. Ed eccomi qui».
Torniamo a Firenze, nella Gucci Osteria. Che coordinate ha la sua cucina?
«Per me la cucina è una continua compenetrazione di culture diverse. Ad esempio il mais, in Italia viene trasformato in polenta, in Messico diventa una Tostada. Quindi se faccio un piatto con una tecnica messicana utilizzando il mais italiano, che non ha le stesse proprietà di quello del mio paese, ma è più secco, e quindi anche la tecnica va riadattata, come si può stabilire la provenienza di quel piatto? Come si può capire dove inizia una tradizione e dove finisce l’altra? Il mio menù è un viaggio intorno al mondo che racconta le storie che abbiamo vissuto in cucina con Massimo Bottura, le nostre esperienze di vita e le tecniche affinate. Quello che spero rimanga alla fine del pasto è la creazione di nuove memorie gustative, che poi è quello che è successo a me nel corso degli anni passati in giro per il mondo. Sono cresciuta in una famiglia tradizionale messicana, quindi il Natale per me era rappresentato dalle ricette tipiche del mio paese. Ma ora, non riesco ad immaginare il pranzo del 25 dicembre senza un piatto di tortellini. La mia memoria del Natale è stata modificata, integrata, rivista, grazie all’influenza di nuove culture. Questo è ciò che vorrei succedesse nella mente dei miei ospiti».
Il termine osteria identifica in Italia una realtà molto paesana. Cosa c’è dell’osteria, qui da Gucci?
«In Messico il corrispettivo di osteria è “fonda”. Ed anche lì stanno nascendo le “fonda chic”. È un trend globale, non solo italiano, ed ha a che fare con l’evoluzione dei tempi e della cucina, che rimane tradizionale ma innovativa e ben presentata».
C’è un piatto che più di ogni altro la racconta?
«La lingua. L’abbiamo ripresa dall’anno scorso e la adoro. Noi in Messico mangiamo la lingua in tacos, la serviamo con una crema di rapa rossa affumicata, la cuociamo a bassa temperatura sottovuoto, con il suo fondo e con il cavolfiore. Questo piatto dice molto di me».
Taka bun (bun cotto al vapore con pancia di maiale) Purple corn tostada Tentacle spectacle
La sua Tostada ha un effetto wow. Torni a casa e ti rimane impresso. Come è nato quel piatto?
«A Massimo Bottura piace molto un piatto che si chiama huevos rancheros, ricetta tipica messicana fatta con uova fritte, pomodoro e tortillas di mais. Un giorno mi ha detto di inserirlo nel menù, ed io pensavo scherzasse, dal momento che è un piatto che si presenta in maniera molto grossolana. È una ricetta popolare e mal si presta ad essere declinata nell’altra ristorazione. Così ho cercato di venirgli incontro e gli ho presentato la mia Tostada. L’impiattamento iniziale prevedeva che la tostada di mais fosse alla base e sopra si mettessero gli altri ingredienti, solo che tutti si sporcavano provando a mangiarla. Ecco allora che la tostada di mais è finita sopra, a coronamento del piatto, risultando sia più gestibile nella degustazione, che più ordinata esteticamente. Il pesce, la palamita, poi è stato scelto perché è poco usato in Italia, ma buonissimo. Per quanto riguarda l’avocado invece, inizialmente non ero certa di inserirlo nella ricetta perchè non volevo che provenisse dall’estero. Così Massimo (Bottura, ndr) mi ha risolto il problema, presentandomi un produttore di avocado in Sicilia. Il risultato finale è un piatto completamente italiano, nonostante la sua origine tipicamente messicana».
Può una buona tecnica nascondere una cattiva materia prima?
«Io vengo da un paese poverissimo, dove da piccola si mangiavano prodotti semplicissimi e sono cresciuta con un valore del cibo molto forte. Ho imparato che non esiste una cattiva materia prima, al massimo si può parlare di cattiva preparazione».
Di quante persone si compone il suo team?
«In cucina siamo in 12, non chiudiamo mai e ci si riposa a turni. In sala ci sono 13 persone. Poi abbiamo una figura, che si chiama Martina Fraccaroli, che è specializzata in tortellini, ed ogni mattina viene da noi e fa solo quello, in maniera impeccabile».
Valore umano. Quanta sostanza c’è in un simile concetto?
«È un tema a me molto caro, perchè troppo spesso nella nostra “industria” non c’è rispetto per chi lavora. Per me la salute dei miei ragazzi è fondamentale, come anche che mangino sempre bene e che siano liberi di avere i loro spazi di espressione e di divertimento. Non ho simpatia per le scuole militari».
Ogni quanto cambia la carta?
«Cambia spesso, perchè in Italia ci sono prodotti incredibili ma che hanno un tempo molto limitato a livello stagionale. Quindi dobbiamo essere rapidi e non perderne nemmeno uno».
Il suo menù è pieno di dediche… a suo marito, a Charlie, figlio minore di Massimo Bottura. Come mai?
«Non è una scelta strategica ma istintiva. Quando dovevo pensare ad un dolce col cioccolato, ad esempio, è stato naturale pensare a Charlie. Quando lui arriva in cucina, va diretto in pasticceria e si fionda sul cioccolato, ne è golosissimo. Un giorno gli ho detto che avevo dedicato un piatto a lui, ed è impazzito di gioia. Creare una ricetta per qualcuno è un gesto d’affetto, non può venire da una strategia».
La cucina del futuro come sarà?
«Sarà una cucina lontana dagli sprechi. Un simile controllo richiede una ricerca e un’attenzione enorme perchè devi guardare tutto quello che succede nel tuo locale. Noi mangiamo qui sia a pranzo che a cena, quindi quello che non usiamo per il servizio, lo riutilizziamo per i nostri pasti. Ed è anche da questi momenti che possono nascere nuove ricette. Il carciofo ad esempio era un contorno, all’apertura. Poi uno dei miei ragazzi ha creato una crema di pane straordinaria durante una fase di “riutilizzo”, ed abbiamo così completato il piatto».
Cosa vuole fare da grande?
«Cucinerò per sempre, è la mia terapia di vita e non mi vedo proprio a fare altre cose».
La felicità che sapore ha?
«Tacos. Senza alcun dubbio».
FOTO: Courtesy of Gucci