I tartufi e Lucrezia Borgia

La leggenda narra che Lucrezia Borgia – la celebre nobildonna figlia illegittima di papa Alessandro VI (al secolo Rodrigo Borgia), figura femminile tra le più discusse del nostro Rinascimento –  amasse molto i tartufi.

Forse per le virtù afrodisiache che da sempre sono attribuite ai pregiati funghi.

Oppure semplicemente per le stesse ragioni per cui piacciono a noi comuni mortali che non passeremo alla storia per intrighi di corte e veleni.

Non ci sono fonti storiche che attestino la ragione di questa “nobile” passione, ma quel che è documentato storicamente è che Lucrezia fu (anche) duchessa di Bisceglie, titolo consortile che le venne attribuito per aver contratto nozze con Alfonso D’Aragona. 

Ma i destini della nobildonna ferrarese e del pregiato fungo ipogeo sono talmente legati che si deve a questa dote matrimoniale ricevuta dal duca pugliese, figlio illegittimo di Alfonso II d’Aragona, la febbre dei tartufi che cinquecento anni dopo quegli eventi è letteralmente scoppiata sul suolo pugliese, e più precisamente nel Tacco d’Italia.

O a dir ancora meglio, nella penisola salentina.

Dove ormai non c’è ristorante salentino che non proponga nel suo menu almeno un piatto che sprigioni l’inconfondibile profumo: dalle classiche tagliatelle all’uovo al tartufo, e via via alle più moderne sperimentazioni a base di pesce e crostacei.

ALDO BORGIA 

E tutto proprio grazie a un Borgia, ultimo discendente di quella nobilissima famiglia.

Aldo Borgia con i suoi cani da tartufo

Un “segugio” –  ironia della sorte –  ovvero un ex poliziotto che durante la sua carriera ha effettuato indagini in casi decisamente scabrosi, come quello del “Mostro di Firenze”: un agente, insomma, dal “naso” allenato a fiutare ciò che non va.

Lui è Aldo Borgia – appunto – ultimo erede della celebre famiglia di origine spagnola, come da documentato albero genealogico, e otrantino doc che in un giorno qualunque di un anno qualunque dei terribili ’90, agente in borghese di polizia giudiziaria impegnato in un controllo sulla costa adriatica – scenario di sbarchi e traffici di ogni tipo in quegli anni bui per il Salento –  avvista in una pineta una coppia di uomini dal fare losco. 

Subito fermati: e dopo gli accertamenti del caso e qualche bugia che non convince il poliziotto, arriva la “confessione”: si tratta di due cavatori umbri, venuti con i loro cani alla ricerca di tartufi.

Tartufi? In Puglia? Nel Salento?

SALENTO TERRA DI TARTUFI  

E perché no, se già Plinio il Vecchio ne parlava nella sua Historia naturalis, come riporta il medico bolognese del ‘500 Baldassarre Pisanelli nel suo scritto Trattato della natura de’ cibi, et del bere?

Historia Naturalis di Plinio il Vecchio

Questa notizia storica, che per chi scrive ha dell’incredibile, è una delle tante scoperte al riguardo fatte da Aldo Borgia e dal figlio Giuliano, travolto dalla stessa passione paterna e col padre preso dalla voglia di sapere sempre di più del nobile fungo: si mettono a cercare notizie su internet, a reperire in giro informazioni e segreti. Perché in realtà chi sa, chi conosce bene l’argomento, non parla. Per non rivelare tecniche e accorgimenti capaci di allargare troppo il giro degli appassionati: meglio essere infatti in pochi a godere del piacere di “cavare” un tartufo.

Giuliano Borgia

Ma l’ex polizotto non si dà per vinto, complice una manina favorevole del fato, dopo qualche tempo si ritrova a Imola al cospetto di Franco Billi: uno dei più grandi esperti del Paese, nonché allevatore di cani da cerca e arbitro internazionale che, colpito dalla tenacia di Aldo, decide – bontà sua – di introdurlo nel meraviglioso mondo dei tartufi. Rivelandogli quello che in molti sanno da tempo, ma su cui vige la congiura del silenzio: che il Salento è terra di tartufi.

E che sin dagli anni ‘70, da tutt’Italia, gruppi di cavatori sono sempre partiti alla volta delle terre salentine per ritornare a casa con decine e decine di sacchi di iuta colme dei preziosi funghi ipogei. 

Insomma, sotto ai suoi piedi il Salento ha avuto da sempre una vera e propria miniera d’oro, senza che nessun “indigeno” sospettasse mai nulla.

Scatta così la voglia di saperne ancora di più, di studiare, di approfondire: così arriva il patentino, il primo negozio di prodotti a base di tartufi raccolti in Salento e lavorati a Norcia, in quel di Otranto, fino al riconoscimento da parte della Regione Puglia, per Aldo e Giuliano, come “Tartufaio per fini scientifici”. E si inizia ad esportare tartufo in Germania, Svizzera, Francia e a venderlo anche in Italia.

AL TARTUFO BISTROT

Non contenti, e intuendo che il mondo della ristorazione salentino, che continua a rifiutare i loro tartufi raccolti, forse non è ancora pronto alla rivoluzione gastro-culturale del caso, i Borgia decidono di aprire un bistrot accanto al negozio – “Al Tartufo” –   dove far provare la bontà dei piatti profumati del tartufo salentino.

La famiglia Borgia

I clienti apprezzano, i tavoli iniziano a diventare sempre pieni, la fama cresce.

Tutti parlano di questo piccolo ristorante a due passi dal lungomare di Otranto: scoppia la tartufo-mania. Che come ogni moda comporta anche dei lati “oscuri”, in questo caso rappresentati da ristoranti che non comprano dal cavatore, ma utilizzano tartufi provenienti da chissà dove.

A volte, per esempio, dai Balcani, dove pare siano raccolti senza le giuste accortezze e l’ausilio di cani, bensì con zappette che rovinano il terreno, e poi sono comunque trattati con prodotti a base di bismetiltiometano (sostanza ottenuta dal petrolio), per rafforzare il tipico odore che ha un tartufo al giusto grado di maturità. “Ecco come si è cominciato ad associare al tartufo quell’odore esplosivo dell’olio all’aroma sintetico di tartufo”, avvertono Aldo e Giuliano Borgia, “dimenticando completamente la delicatezza, la raffinatezza e la sottile complessità del profumo del tartufo vero”.

BORGIA TRUFFLE ACCADEMY

Per porre un argine, allora, padre e figlio sono in procinto di dare vita alla “Borgia Truffle Academy”, centro tecnologico e gastronomico dove approfondire le conoscenze sul tartufo e sui suoi derivati.

Una scuola  – con annessa tartufaia controllata –  dove apprendere la cultura del vivere (e mangiar) bene, che  continuerà a proporre le escursioni e le lezioni “dal vivo” nei boschi a ridosso del mare che tanto piacciono a turisti. Ben consapevoli che Il tartufo italiano, insieme a quello francese, è il migliore del mondo per le caratteristiche dei terreni, ma anche per i vincoli posti da un’apposita legge che ne norma la raccolta. 

AREE TARTUFIGENE

In Puglia le aree tartufigene naturali sono cinque: la Foresta umbra, i boschi del sub-appennino dauno, la zona costiera dei Laghi Alimini, il lato ionico della provincia di Lecce e l’Isola di Varano.

Tante le varietà che si possono raccogliere, in base alla stagione: dai tartufi neri e bianchi pregiati allo Scorzone, dall’Uncinatum al Marzuolo, “anche grazie alle tartufaie coltivate con piantine micorizzate, cioè con seme proveniente da boschi da seme  e di tartufi autoctoni pugliesi”, spiegano ancora Aldo e Giuliano Borgia.

Certo, la pandemia ha complicato un po’ tutto, gravando pesantemente soprattutto sul settore della ristorazione e del turismo. Ma riprenderemo da dove ci eravamo lasciati. Magari gustando un piatto al profumo di tartufo pugliese.