Federico Fugaroli, imprenditore illuminato

Federico Fugaroli
Federico Fugaroli

Federico Fugaroli è un uomo di economia, che è abituato a parlare con i numeri piuttosto che con le parole.

Federico Fugaroli è la quinta generazione di una famiglia imprenditoriale di Ferrara che, al bivio causato dalla pandemia, ha saputo rispondere molto bene.

Tanti sono gli sviluppi che attendono la sua azienda agricola e il “brand” Makorè, che parte dal banco del pesce a Chioggia, per arrivare alla pescheria e trovare il suo compimento più alto nel ristorante gastronomico.

Altrettanti saranno gli scenari che lui prospetta in entrambi i settori, con una giusta dose di saggezza.

Che cosa vuol dire per Federico Fugaroli essere un imprenditore agricolo e ristorativo durante la pandemia?

Significa, innanzitutto, una grande responsabilità: da un lato nel continuare a offrire un prodotto indispensabile alle persone, ancor di più in un periodo in cui le stesse si sono alimentate quasi esclusivamente a casa, dall’altro nell’offrire un servizio di piacere in condizioni non ordinarie, con le continue aperture e chiusure.

Nell’ambito della ristorazione l’avvento della pandemia ci obbligherà a rivedere alcuni consumi, sotto certi punti di vista, e ad abbandonarne altri.

Come si è sviluppato il suo percorso professionale, tra produzioni di mele, pesce fresco e alta ristorazione?

La mia carriera è iniziata con gli studi in agrotecnica e il successivo diploma in perito agrario, al quale sono seguiti la laurea in Economia Aziendale all’Università Ca’ Foscari di Venezia e il master al CUOA Business School di Vicenza in Economia e Management. Ho deciso poi di proseguire il percorso tracciato dalla mia famiglia che dalla fine dell’800 si occupa della produzione di frutta e, dagli anni ’70, opera anche nel settore edilizio.

La sua attività imprenditoriale è strettamente legata al mondo agricolo.

È una questione di storicità. Io sono la quinta generazione di una famiglia che ha sempre operato nel settore agricolo, dal 1885, con l’ambizione di essere costantemente al passo con i tempi. Negli anni ‘30 e ‘40 mio nonno aveva capito l’importanza di una produzione organizzata, per poter soddisfare la crescente richiesta di un prodotto ortofrutticolo, in una fascia di tempo più ampia di quella convenzionale.

Lo stesso concetto è stato poi affinato da mio padre che, alla fine degli anni ’50-inizio anni ’60, fece un’esperienza in uno dei primi supermercati Pam. Qui capì che vi era l’esigenza di organizzare una produzione quantomeno bistagionale per soddisfare i bisogni della GDO, il cui primo punto vendita (Esselunga) era sorto pochi anni prima, nel 1957. La mia famiglia aveva capito, prima di altre, che i bisogni erano mutati e che era necessario soddisfare desideri diversi rispetto a un tempo: erano gli anni ’60 e le esigenze dei consumatori si stavano già conformando a quelle attuali.

Parlando di numeri, qual è il vostro prodotto di punta e quale è la sua produzione annua?

Il prodotto di punta della nostra attività sono le mele che distribuiamo come tali, nel caso di prodotti di prima qualità, o sotto forma di prodotti trasformati, quando il frutto presenta difetti secondari ma è buono. Trenta sono le migliaia di quintali di mele che immettiamo sul mercato in queste due modalità. Se il mercato del fresco è sempre esistito, quello dei trasformati è nato più tardi. In precedenza, infatti, le mele non vendute come tali erano la base per la produzione di sidro o di alcool: solo a Ferrara, per esempio, vi erano 2-3 distillerie. Nel recente periodo è nato invece il grande settore dei trasformati che comprende i preparati a base di frutta, i succhi, gli yogurt, le insalate, i prodotti di pasticceria industriale da preparare o precotti, come le torte di mele e gli strudel, che vengono consumati principalmente in stati come Germania, Inghilterra, Olanda, Belgio.

Com’è andato quest’anno folle, caratterizzato dalle code dei supermercati, a livello di vendite?

In senso generale, credo che non ci si possa lamentare. È stato un anno positivo, dal nostro punto di vista, perché l’impossibilità di viaggiare all’estero, con la stessa facilità degli anni precedenti, ha imposto un aumento dei consumi del nostro prodotto, con dati importanti come il + 30% nel caso delle mele. C’è stata inoltre un’influenza positiva sull’andamento delle vendite anche per ciò che concerne i prodotti di IV gamma – l’ortofrutta fresca, lavata, confezionata e pronta al consumo – e i prodotti freschi in vassoio.

Un altro settore che vede Federico Fugaroli protagonista è quello della ristorazione, con l’insegna Makorè situata nel centro storico di Ferrara. Quando e come è nata?

Makorè è nato dalla mia volontà di portare sulla piazza di Ferrara una cucina di pesce con pescheria annessa. Nella mia carriera ho sempre avuto a che fare con la materia prima – da quella frutticola, a quella protagonista nel settore edilizio – e ho creduto che potesse essere proprio questa la chiave distintiva dell’offerta. Mentre risulta piuttosto facile reperire carne di qualità, per il pesce il discorso è piuttosto diverso, motivo per il quale con quest’apertura abbiamo deciso di garantire al consumatore una fornitura diretta. Siamo noi infatti, senza intermediari, a rifornirci della materia prima ai mercati principali – quello di Chioggia in primis – per venderla come tale in pescheria o cucinata al ristorante.

Federico Fugaroli, in una delle sale del Ristorante Makorè a Ferrara

L’obiettivo per federico Fugaroli è quello di far diventare Makoré un ristorante di alta cucina?

Sì, indubbiamente. Negli ultimi anni abbiamo assistito a un aumento di consapevolezza da parte del consumatore, il quale sta diventando sempre più attento e scrupoloso rispetto a decine di anni fa, quando non si avevano a disposizione tutte le informazioni di oggi. In questo senso, è importante scegliere un’ottima materia prima e delle mani capaci che la sappiano trattare al meglio.

Oggi, la clientela è preparata a fare percorsi degustativi, perché ha una maturità di consumo che si è perfezionata negli ultimi 20 anni, anche grazie a una capacità di spesa diversa. Dal 1980 a oggi la gente ha viaggiato più che nei 40 anni precedenti, avendo modo di conoscere le caratteristiche delle altre cucine e di preparare il proprio palato a gusti e tecniche di cottura nuove.

Che città è Ferrara, dal punto di vista dell’offerta gastronomica?

Ferrara è una città ben radicata sulla tradizione, con una proposta di un’ottima e solida cucina locale. Se si va a ritroso, nella provincia sono passati importanti personaggi, tra i quali Igles Corelli al ristorante Il Trigabolo. Qui si era formata una valida filosofia di cucina che purtroppo, penso per qualche casuale accadimento, non ha avuto modo di essere portata avanti nei primi anni ’80.

Tornando alla tradizione, a Ferrara vi sono ricette storiche che hanno un centinaio di anni, alcune delle quali prevedevano l’uso del rinomato caviale locale di storione, un pesce un tempo molto più rappresentato nelle acque del Po. Altri prodotti della tradizione sono l’anguilla, la stessa carne di storione e la salama da sugo, un saporito salume di maiale da consumare dopo cottura.

Come sta il mondo della ristorazione? Quali sono gli scenari futuri?

Come è noto agli occhi di tutti, la categoria ristorativa non è in un buon momento. Come in altri settori prevedo ‘cure dimagranti’: chi aveva le idee chiare prima le avrà ancora di più dopo, mentre tutti gli altri saranno destinati ad abbandonare la strada o a cambiare settore. Un errore che ha accomunato l’apertura di tanti ristoranti, negli ultimi anni, è stata sicuramente l’assenza di una solida motivazione a monte. Spesso, per errori di superficialità, si è pensato che la cosa più semplice da fare fosse scegliere un locale e un cuoco e avviare un’attività.

In realtà non è così immediato come può sembrare: questi ristoranti saranno quelli che soffriranno di più – se non l’hanno già fatto – la crisi attuale. Quelli che resisteranno, invece, dovranno essere sempre più attenti a quello che metteranno nel piatto, sia dal punto di vista della stagionalità che in senso lato della sostenibilità. Vedo questo periodo come un collo di bottiglia, che solo alcuni progetti riusciranno ad attraversare. Il mercato richiede più specializzazione e chi a oggi non offre una proposta che rispetta questo criterio sarà maggiormente penalizzato.

Cosa vede nel futuro di Federico Fugaroli?

La produzione agricola della mia famiglia, e dell’intera categoria, sarà impegnata sempre più sui concetti di qualità e sostenibilità. Nel nostro caso stiamo valutando la possibilità di installare un impianto fotovoltaico da 20 MW, per fare un importante passo in questo senso. Credo, anche, che l’agricoltura dovrà utilizzare sempre meno pesticidi e puntare sempre più sul tema della tracciabilità. Noi, dal 2006, abbiamo ottenuto la certificazione GLOBALGAP, che ci permette di soddisfare le esigenze della GDO a riguardo e di esportare la nostra frutta in 5 paesi – Inghilterra, Francia, Germania, Svizzera e Spagna – avendo traccia di tutta la filiera che il prodotto venduto attraversa.

In futuro sarà inoltre importante l’utilizzo di strumenti a basso impatto ambientale, come i mezzi di raccolta e le forbici da potare elettrici. Tutto ciò che non sarà specializzato farà sempre più fatica anche in questo settore. Per quanto riguarda Makorè, vedo invece una replicazione controllata del format in Emilia, Veneto e in qualche altra regione limitrofa. Credo che lo stesso concetto possa essere riprodotto in più aree, per lo stretto legame fra ciò che si può acquistare in pescheria e consumare al ristorante, rispettando però una dimensione contenuta.